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Tredici persone sono morte e altre 40 sono rimaste ferite nell’esplosione di un ordigno nascosto in una bicicletta nel distretto di Nahr-e-Sarraj a nord di Lashkar Gah, capitale della provincia di Helmand. Lo riferiscono fonti delle autorità locali. L’attentato aveva come obiettivo un gruppo di persone in fila per ottenere sementi di ortaggi e vegetali offerti dal governo britannico come parte del programma per incoraggiare la popolazione a convertire le coltivazioni di oppio. Tra i feriti ci sono anche otto bambini, hanno precisato le fonti. Nella provincia di Helmand è in corso una vasta offensiva delle forze internazionali della Nato e dell’esercito afgano contro roccaforti dei talebani.

http://droghe.aduc.it/notizia/distribuzione+grano+gratis+al+posto+coltivazioni_116993.php

“Per favore, vai a dire ai tuoi amici che usano cocaina, che ogni volta che loro si divertono, io rischio la vita. Digli che stanno sfruttando la nostra disperazione”.Pedro, 20 anni, produttore di cocaina nella regione del Chapare, Bolivia.

Bolivia, Chapare: una intera regione di persone disperate e senza scelte, che portano, letteralmente, sulle spalle gli effetti dell’aumento della richiesta di cocaina in Europa e negli USA.  Sono costretti a condizioni simili ala schiavitù, convivono con minacce, morte e paura.

Migliaia di famiglie e bambini rischiano la loro vita per costruire una felicità artificiale, minacciati costantemente dalla polizia antidroga, e dalla grande bugia di 45 anni di “guerra al narcotraffico”. C’è chi dice che la cocaina sia glamour e che sniffare una striscia non sia niente di che. Vogliamo svelare la verità mai raccontata prima.

Lo scopo di questo progetto è di mostrare l’effetto del narcotraffico sulla popolazione indigena in Bolivia e sulle loro prospettive di vita e futuro. L’aumento della richiesta di cocaina anche in Italia ha ripercussioni devastanti: i trafficanti ed i produttori locali pagano con sudore e morte il prezzo dello sballo nel mondo occidentale.

La storia si concentra sulla fatica del quotidiano e sulle contraddizioni legate alla War on drugs, concentrandosi sugli scontri fratricidi generati da questa guerra, dimostrando la realtà dei fatti di un mondo tanto famoso quanto sconosciuto e mal documentato. I personaggi del documentario sono le nostre guide attraverso questo mondo inesplorato, di disperazione e dignità, dove la cocaina è l’unico lavoro possibile.

La comunità indigena del Chapare ci aiuterà a fare in modo che la nostra società privilegiata e viziata sappia che cos’è la droga.

Tra i drammi della Colombia il meno conosciuto è forse quello ecologico. La coltivazione e soprattutto l’eliminazione dei narcocultivos stanno distruggendo il patrimonio ambientale, con pesanti conseguenze sulla vita sociale e economica.
E’ ormai noto che la Colombia è il primo produttore ed esportatore mondiale di cocaina e il terzo produttore mondiale di marijuana e che l’eroina colombiana è considerata tra le migliori del mondo. Nonostante cifre discordanti in termini di quantità prodotte, superfici coltivate e, soprattutto, profitti, tutte le stime e gli studi concordano infatti nell’indicare la forte ascesa negli ultimi anni della Colombia come coltivatore e produttore di droga.
Negli ultimi quindici anni i narcotrafficanti hanno acquistato terreni in 409 dei 1.039 municipi del Paese. Allo stato attuale possiedono oltre un quarto delle terre coltivabili del Paese: circa cinque milioni di ettari (più o meno il doppio della superficie del Piemonte). Il che significa che parte dei destini della sospirata riforma agraria (uno degli argomenti principali di disaccordo tra governo e guerrillas) e parte della sicurezza alimentare del Paese è in mano ai narcos.
Le conseguenze di queste appropriazioni sono state gravi e molteplici. Si è alzato il livello di concentrazione della proprietà terriera in poche mani, con la conseguente emigrazione di contadini verso le città o in altri municipi: oltre il 65% dei contadini desplazados (costretti cioè ad abbandonare la terra) è in possesso di un titolo di proprietà sulla terra irrimediabilmente perduto. E’ aumentato di molto il prezzo della terra, il che ha scoraggiato aspiranti impresari agricoli o allevatori. Si sono finanziate strategie pubbliche e private di difesa della terra contro la guerriglia di cui a fare le spese sono soprattutto le popolazioni rurali. Si è rafforzata la tendenza di destinare le migliori terre del Paese alla coltivazione estensiva, con grave pregiudizio dei boschi e dell’agricoltura medesima. Si è permesso ai narcos di smantellare e disgregare le vecchie comunità proprietarie di terra. Si è vincolata la proprietà terriera alla sicurezza personale, sicché la maggior parte dei contadini, al di là della convenienza economica, non ha altra scelta che quella di coltivare la coca. Il fatturato totale è calcolato intorno ai quindici-venti miliardi di dollari.
Ciò che è meno noto, ma altrettanto grave, è che la coltivazione, la lavorazione e anche la lotta ai narcocultivos comportano direttamente e indirettamente impatti devastanti al preziosissimo patrimonio naturale del Paese. Come dovunque nel Sud del mondo, i danni all’ambiente finiscono con l’essere doppiamente gravi.
Considerata la stretta dipendenza di gran parte della popolazione dalle risorse alimentari immediatamente disponibili in natura (frutta, cacciagione, pesca) e dagli elementi naturali (acqua, legna, terra coltivabile), a livello locale un danno ambientale si traduce in una perdita di tali risorse e quindi nella fame. Considerata poi l’importanza che per l’intero pianeta ha il patrimonio naturale della Colombia, uno dei Paesi della cosiddetta megadiversità, i danni ambientali si traducono a livello globale in una perdita di ricchezza in termini di biodiversità, riserve d’ossigeno, funzione termoregolatrice, possibilità di scoprire principi farmacologici in piante rare, ecc. Secondo gli specialisti il recupero degli ecosistemi originari in queste regioni richiederà, quando non vi siano già processi irreversibili, circa un centinaio di anni.
Per ottenere le superfici utili alla coltivazione il disboscamento viene effettuato senza alcuna cognizione scientifica o criterio di salvaguardia del territorio, spesso utilizzando il fuoco in modo incontrollato. Il risultato più immediato di questa azione è che impiantare un ettaro di coltivazione di piante da droga equivale a distruggere circa tre quarti di ettari di bosco andino dall’immenso valore ecologico. Nel complesso un’operazione del genere si traduce in una deforestazione di circa trecentoquarantamila ettari all’anno di foresta tropicale in tutto il Paese, pari a circa il 30% della deforestazione annua del Paese.
Da ricerche del Ministerio del Medio Ambiente emerge nel periodo tra il 1974 e il 1998 sono stati coltivati 307mila ettari (inclusi i fumigati) che hanno causato il disboscamento di circa 1.074.000 ettari di selva e boschi in ventitrè dipartimenti. La conseguenza è la perdita ingente di aree produttrici d’acqua (è stata stimata la scomparsa ogni anno di circa seicento ruscelli o piccole sorgenti) necessarie per mantenere il regime idraulico nelle principali conche idrografiche e impedire i processi di erosione del suolo; nonché la grave minaccia a ecosistemi-chiave per la riproduzione genetica in regioni considerate vere e proprie banche mondiali della biodiversità.
E’ inoltre enorme il “carico chimico” necessario a massimizzare la produttività di queste piantagioni: ogni anno sono utilizzate circa novecento tonnellate di erbicidi, sedicimila di fertilizzanti e quattrocentocinquanta di antiparassitari, col conseguente considerevole inquinamento di suolo e acqua.
(FONTE: narcomafie.it)